martedì 10 aprile 2012

Two Side Cold Fusion


Se fossi uno strumento, avrei un complesso manuale di istruzioni. Tendo ad essere scostante e poco tollerante nei confronti di alcuni atteggiamenti, maneggiarmi è sempre un problema. Forse sono poco malleabile, ma anche poco disposto a sentirmi contraddire. È complicato spiegare tutto questo, anche solo parlando nella mia testa.

Mi piacerebbe che fosse più semplice spiegare perché non sono impulsivo con i nemici e lo sono con gli amici. È evidente che tendo a sopportare con poca facilità le delusioni da parte di chi mi fido, viceversa pianifico attentamente le reazioni con le persone di cui non mi fido. È difesa, pura difesa, ma per chi mi sta vicino non dev’essere semplice. Non mi sto giustificando, sto capendo. Me stesso.

Philips sembra tornato alla carica, un attacco frontale non sembra una buona soluzione, è stato smitragliato e fatto saltare in aria, non è bastato. Devo concentrarmi, ma le critiche di Eir me lo impediscono. Quando non sarò più il secondo in comando, forse non avrò più questo carico sulle spalle. Le ho anche offerto di andarmene del tutto, ma pare che se la siano presa. Non capisco, se me ne andassi risolverei tutti i loro problemi, tutti quanti e potrebbero fare come vogliono.

Se me ne andassi. L’ho pensato ad alta voce e non me ne sono neanche accorto. Non parlo di smettere di fare ciò che faccio, ma di farlo in modo che venga apprezzato. Neanche apprezzato…non contestato sistematicamente come poco…passionale. Mi basterebbe che gli altri si sforzassero di capire me come io mi sforzo di capire gli altri, ma questo è…improbabile, temo. Vorrei essere in grado di parlarne, ma…non è così.

Mi ritrovo ad aspettare che Jack venga scarcerata, ad attendere le sue critiche, anche le sue. Per non averla seguita in un’azione irrazionale, che ci avrebbe fruttato più guai che altro anche in caso di successo. Per essermi fatto venire l’ulcera mentre non potevo fare altro che guardare. Non potrebbero, per una volta, solo per una volta, esistere non due parti, ma una sola? Non la mia e la loro, ma solo la nostra?

giovedì 5 aprile 2012

Engineering jokes

<Cole Scott?>

La sala in cui mi hanno portato e poi lasciato da solo è illuminata al neon. Dicono che la usano per i test. Il braccio mi fa ancora un male cane, quell'idiota ha usato l'hypospray come un cane. E io sto ancora tremando, per questo ho le mani nelle tasche. So che lo sto facendo con uno scopo, ma questo non lo rende più confortante. Mi ha fatto paura la prima volta, è la stessa cosa ora, anche se ormai è fatta. Respiro, espiro, cerco di non innervosirmi e mi chiedo perché non mi sento diverso.

<Cole Scott?>

Stavolta sento bene gli altoparlanti che chiamano il mio nome. Rispondo annuendo e mi guardo intorno. Tavoli di metallo, fiale di vario tipo, alcune botole sigillate, qualche sagoma per il tiro a bersaglio, poco altro. I vetri oscurati probabilmente servono a vedere senza essere visti e dietro di essi so che mi osservano, quelli che parlano attraverso gli altoparlanti, quelli che insomma ora hanno paura di me, perché non sanno neanche loro che cosa mi è successo. C'è odore di disinfettante nell'aria, alcol etilico credo.

<Le analisi mostrano un'aumentata funzionalità mesoencefalica. Non conosciamo l'effetto specifico, ma intendiamo verificarlo con questo test.>

Mi ripeto che è la cosa giusta da fare, ma anche che il fatto che non si avvicinano non mi rassicura affatto. Di che cosa hanno paura? Respiro ed espiro e mi guardo intorno. Non parlano più e allora comincio ad intuire. Aspettano che io faccia qualcosa.
<Uh...che cosa dovrei fare?> chiedo, alzando un sopracciglio e voltandomi un'altra volta. Dove si guarda quando si parla con qualcuno che non vedi? Appiattisco le labbra e mi massaggio un minimo il braccio. Cane di un medico indipendentista, non sai proprio come fare il tuo lavoro.

<Non lo sappiamo figliolo. Tu provaci e basta.>

E il premio per la risposta più laconica dell'anno va a...il tizio sconosciuto che mi ha risposto da dietro un vetro oscurato. Sospiro e passano i minuti. La loro delusione si fa palpabile.
<Volete che vi racconti una barzelletta?> chiedo, e so perché non ricevo nessuna risposta. I soldati detestano questo mio modo di fare. E mi va bene, perché questo mi da modo di riflettere.
<Ok, allora...ci sono questi due amici che vivono su St. Andrew che ogni giorno vanno a caccia. Sono grandi tiratori, quindi hanno sempre un gran successo, insomma...chiamiamoli Fred e Thomas.>
Mentre parlo, so che si stanno spazientendo. Io intanto rifletto sulle loro parole. Hanno smanettato sui miei ingranaggi, accidenti...comincio a pensare alle rotelle nella mia testa, ai meccanismi interni, a ciò che è cambiato.
<Un giorno, di ritorno dalla battuta di caccia si fermano a riposare su una collina a 100 metri dalla casa di Fred. E proprio lui ad un certo punto dice "Ehi, Tom...tu che hai la vista buona, dai un'occhiata con il mirino a che sta preparando mia moglie.">

I miei ingranaggi, accidenti. Non mi sento diverso, non sembro diverso, ma sono diverso. C'è qualcosa dentro di me che è cambiato, una rotella nuova. Di nuovo...è bene o è male?
<E allora Tom da un'occhiata e gli risponde "Ehi amico, non so come dirtelo, ma...sta facendo sesso con il tuo vicino di casa." Allora Fred esclama "Sparagli amico! Sparagli! Un proiettile nel cranio di quella puttana!">
Non so proprio che cosa dovrei fare, e continuo a parlare e a immaginare. Respiro lentamente, cercando di raccontarla bene, di non mostrarmi in ansia
<"E con un altro proiettile, evira anche quel bastardo!" continua Fred, ma Tom lo interrompe "Amico...davvero...non so come dirtelo di nuovo, ma...penso che...">

All'improvviso, quello che succede, mentre parlo, mi lascia senza fiato: i tavoli, le barelle, ogni oggetto intorno a me vola in aria come colpito dall'onda d'urto, un'esplosione che sfonda i vetri e mi lascia lì a pronunciare quelle ultime parole <"...basti un proiettile solo...">
Subito dopo, sono piegato in due dal dolore. Qualcosa, nella testa...la testa mi sta scoppiando. Cerco di appoggiarmi ad un tavolo e mi dimentico che li ho fatti volare via tutti. Cado a terra, non riesco a...come ho fatto? Provo ad alzarmi, ma i piedi slittano per terra e cado di nuovo. Sto per morire? Sento un rivolo di saliva che scende lungo il mento e la testa mi scoppia...Fallo smettere! Ti prego...Fallo smettere...

venerdì 30 marzo 2012

How do you kill deathless Max


Non credo che capirò mai la prepotenza fine a se stessa. Spesso mi comporto prepotentemente, ma di solito ho sempre un buon motivo per fare quello che faccio, anche se la gente non lo capisce o non gli balza agli occhi. Infatti, ciò che mi differenzia da bulli e scagnozzi vari è che tendo a fallire un numero statisticamente inferiore di volte. Nessuno vince sempre, agire razionalmente è la cosa più saggia che mi venga in mente e non mi sento così saggio.

È per questo che non comprendo appieno Jack. Non comprendo le ragioni del suo ritorno, ho dato per scontato che il mio compito con la nave fosse concluso. Ora passo le giornate in quel forno che chiamiamo sala macchine e non parlo con nessuno. Sono stato il capitano della Almost Home nei suoi momenti più duri e l’ho portata sana e salva su Safeport ogni volta. La gente ora parla dei Dust Devils, parla di quello che hanno fatto.

La sua assenza mi ha distrutto, ma la sua testardaggine mi sta facendo superare quella disperazione. Questa è la verità, sono cambiato che mi piaccia o meno mi sono spinto troppo oltre, la mia mentalità ora è questa. Jack dice che gli attacchi diretti fanno parlare di noi. Non è esatto. Sono le vittorie che fanno parlare di noi. La gente, quella a cui importa di noi, è stanca di sconfitte.
Attaccare l’Avenger nella zona di Hall Point è un errore, sulla base di ciò che sappiamo. Max, qualunque significato vogliamo dare a queste tre lettere, utilizzerà l’evento come una scusa per mandare tre navi, la prossima volta.

Jack non si è posta nelle condizioni giuste per affrontare questo genere di mentalità. Pensa di combattere con un generale, che si può far scoraggiare da una sconfitta, dalla perdita di uomini, o i cui fondi possono venir tagliati per sprechi evidenti. Max è diverso, ha fondi propri e poteri decisionali illimitati. Una pazienza illimitata. Esiste da ottant’anni, ha visto scoppiare e finire una Guerra che ha devastato tutto il resto del ‘Verse. Una nave, dieci navi, non cambiano assolutamente nulla dal suo punto di vista.
Per la prima volta, provo la sensazione di avere a che fare con qualcosa fuori dalla mia portata. Questa organizzazione è stata affrontata da decine e decine di menti, prima della mia, ed ha prevalso, tutte le volte. Sul piano della logica, c’è una scarsissima probabilità di batterli o anche solo di sorprenderli.

Quindi qualsiasi cosa io faccia, dovrò agire sull’unica cosa alla quale, per scelta, hanno rinunciato.

sabato 24 marzo 2012

Destructuring of a Requiem


L’arma con cui è stato ucciso un mio amico è…ben fatta. L’ho rubata a Ryan Gibbs dopo averlo ucciso. Gli ho sparato tre colpi nella schiena, poi quando non si muoveva più gli ho sputato in faccia. E gli ho rubato l’arma con cui ha ucciso Buck.

L’ha ucciso. La forma della canna garantisce che il colpo viaggi a 1200 m/s, è un’arma…ben costruita. Ha un caricatore da 16 colpi. E lui lo ha usato su un vecchio, gli ha…gli ha sfondato il cranio. E io guardavo mentre lo faceva.
Buck Blackbourne era una brava persona. Non so che cosa dire a Roona Mei, a Eivor, a Eir. A Jack. Non so che cosa fare.  Il calcio della pistola è disegnato per essere…comodo. Gibbs era…comodo, mentre massacrava Buck. Ma non era comodo mentre gli sparavo.
Ha provato a questionare. A dire che gli stavo sparando alle spalle, senza combattere. Dopo aver sparato ad un vecchio in piena fronte, ha detto questo. A me.

Ha sbagliato persona, se pensava di parlare con un soldato, con qualcuno per cui l’onore della battaglia ha ancora un senso. Ha sbagliato persona. I primi due colpi sono stati di rabbia, il terzo…era odio.
C’è una lama retraibile all’interno dell’arma e un selettore per passare fra un rateo di fuoco automatico ed uno semiautomatico. E un tubo lanciagranate. È l’arma definitiva della marina Alleata. L’arma con cui li ucciderò tutti. Dovessi prendere un proiettile da questo caricatore e ficcarlo nella testa di ciascuno di loro a mani nude…

Sono salito sulla nave, dopo…quello che è successo. E ho vomitato. Ho già visto morti ammazzati, anche miei amici. Non è l’orrore che ha questo effetto. Credo sia l’odio.
È veleno, intossica il sangue, corrode gli organi. Lo sento, lo…sento. Non respiro bene, non riesco a bere, ho bisogno di aria, ma questo è un fottuto pezzo di ferro nel nulla, non c’è aria vera! Non si può morire qui, non si deve morire qui. Non è nell’ordina naturale delle cose, così come l’odio che mi avvelena.
Mi chiedo se Buck avrebbe voluto che pregassimo per lui. Mi ricordo il funerale di Easy Pete, lui è andato a rendergli omaggio, ma io non sono…capace. Roona Mei, lei forse…lei forse saprà organizzare questa cosa.

Scrivo agli altri cosa è successo. Gli scrivo che Buck è morto e che io ho ucciso Gibbs. Poi chiudo tutto, la porta, la luce, resto al buio. Sapevamo che sarebbe potuto succedere, sapevo che qualcuno ci avrebbe ucciso. Ma ero io che dovevo morire, ero…io. È me che la gente odia, non Buck, lui è benvoluto da tutti, ha…aveva…una faccia rispettabile, non…sono io la canaglia di Safeport.
Nel silenzio, al buio, la mia mano sfiora qualcosa. È il telecomando di una bomba, l’abbiamo costruita non più di una settimana fa. So che cosa devo farci. Resto in silenzio, sfiorando il pulsante, senza premerlo, ma pensando, pensando a Buck e a Gibbs, steso a terra.

In silenzio, mi ritrovo a pensare a Buck appostato alle porte dell’inferno con un fucile, ben piazzato a terra. 
Preparati vecchio: sto per spedirti un bel po’ di giacche blu.

domenica 18 marzo 2012

Brown Partisan

Ho scoperto che sono bravo a parlare con la gente. 

Passo molto del mio tempo in silenzio o a trattare male la gente, così non faranno domande e la conversazione sarà breve. Di solito.
Ieri sera però sono entrato al saloon, ho chiesto scusa se turbavo il meritato riposo di quei quattro rancheri che il sabato sera vanno a rilassarsi lì e ho cominciato a parlare. A parlare della Guerra, di attivismo, di proteste contro l'Alleanza. È andata meglio di come pensassi. 

Ci sono state contestazioni, ma niente che abbia scalfitto il messaggio che volevo mandare. Non è questione di dialettica, forse i miei concetti sono veramente quelli giusti, forse la gente non riesce a contraddirmi perché parlo di cose sensate. Un altro capitano sarebbe sicuro di questo, io spero solo di aver fatto breccia nella testa di uno o due dei presenti. Mi sono esposto in prima persona, ho parlato con loro, il Crazy Horse Saloon ascoltava, non ho dovuto menare le mani, nessuno è intervenuto.

Non sarà sempre così semplice, ma ieri sera…ieri sera lo è stato ed è stato bello. Mi sarebbe piaciuto che Jack mi avesse visto, sarebbe stata fiera di me, per una volta. Non ho neanche bevuto la mia birra, l’ho pagata però.
Non diventerò un fottuto oratore, non cambierò modo di rivolgermi al mio equipaggio o a chi rompe le palle ogni volta che mi incontra, non sarò più tenero, ma…ma quando parli con la gente capisci meglio te stesso. E io ho capito che cosa sono, ieri sera.

Non sono un soldato, l’ho ripetuto fino alla noia. Per essere un soldato devi riconoscere il valore della gerarchia e dell’ordine e io non lo faccio. Neanche James, che potrebbe esserlo, lo fa e rimane solo un tagliagole e io non sono neanche questo. Così come non sono un fottuto eroe, nessuno scriverà di me sul giornale, non mi appiccheranno mai una medaglia sul petto e non si ricorderanno il mio nome né con paura né con orgoglio.

Non ho orgoglio, né avidità, né valori da sbandierare. Fino ad ora sapevo solo questo, quello che non ho…ma ora so anche quello che sono.

Sono un partigiano con una giacca marrone, che si nasconde fra gli alberi e aspetta il suo nemico, lo affronta prima nella sua testa e si prepara a combattere anche se non è nato per quello. Il partigiano non è nato vincente, lo diventa a forza di prendere botte. Non è un uomo senza paura, è uno che la paura la conosce dannatamente bene e nonostante questo, si impone di non tremare al punto di non poter sparare dritto. Fa quello che è necessario per la causa, mangia male, dorme peggio, se la da anche a gambe se serve a combattere un’altra volta. Parla con la gente, trova altri che combattano con lui, va avanti così.

E…in silenzio…aspetta che lo vengano a prendere, perché lo sa, lo sa che è quella la fine, prima o poi vengono a prenderti. E a quel punto…se ne porta dietro quanti più è in suo potere, così che oratori, soldati, eroi e tagliagole continuino il loro balletto e si dimentichino che lui…c’era.

sabato 10 marzo 2012

Black Strawberry

Una ragazza al ranch mi ha offerto un cestino di questi strani frutti. Sono neri, simili alle ciliegie, ma diversi. Sembrano più...salati o di sicuro non dolci. Dice che ci fanno l'olio. Io non ho mai saputo con che si fa l'olio naturale, su Safeport l'olio è una miscela di acidi grassi prodotti chimicamente che usi per soffriggere quello che già di per sé ti avvelenerà il sangue. Qui su Greenfield lo fanno con queste...ciliegie nere. Me le ha regalate, perché pensa che io abbia salvato il ranch da una creatura mostruosa che uccideva il bestiame, ma...non è così.

Io ho ucciso un compagno di Guerra, solo che non l'ho visto in faccia, perché qualcosa lo ha cambiato. Anche lui era...una ciliegia nera. Cioè, era un uomo, ma...lo hanno cambiato quindi tutti lo vedevano come qualcosa di diverso. Un mostro. E anche io ci ho creduto, ho creduto fermamente che ucciderlo era la cosa giusta da fare, finché non ho capito che era un mio compagno. Non saprò mai il suo nome, non saprò mai se aveva scelto quella vita o se era stato scelto.
Sono buone queste ciliegie nere, molto più buone di quello che penseresti. Il problema è che non tutti lo capirebbero. So che Jack avrebbe saputo spiegarmi come si fa l'olio a partire da queste cose, ma io non riesco proprio a immaginarmelo. Mi fa ridere il modo in cui la ragazza mi guarda, anche quando si è allontanata. Credo che al Ranch si parli di noi come "gli amici poco raccomandabili del dr. Blackbourne". E credo sia una definizione calzante.

Non ne mangio molte, ma mi chiedo come ho fatto a vivere tutta la vita senza assaggiarle. Mi chiedo anche se sono sempre esistite, se c'erano sulla Terra-che-fu o se le abbiamo create noi, come la bestia, come...come parte di me. Non riesco a capire se è una cosa giusta o sbagliata, le ciliegie nere sono buone. Io sono buono? La creatura era buona e io l'ho uccisa. Questo fa di me il cattivo, necessariamente. Anche Gibbs lo dice e tutti lo ascoltano, ma io non mi sento il cattivo. Jack avrebbe saputo spiegarmi come si fa l'olio e...e se sono il cattivo. Si, lei lo avrebbe saputo.
Suo nipote ha preso la lettera. Non so cosa ci fosse scritto, gli ho lasciato il mio contatto cortex, non so se ho fatto bene o ho fatto male.

Ho visto Eir usare la macchina fotografica che ho ideato. Nessuno sa che l'ho creata io, ed è strano. Rientra nell'ambito delle cose che farebbe una ciliegia nera, penso, una ciliegia nera nel Core. E nel Rim e ovunque. Tutto sommato sono diverso da questi strani frutti salati. Loro crescono nella terra, io questo pianeta verde non lo capisco. Non capisco le loro leggi, le loro buone maniere, non capisco la vita di campagna e il silenzio. Non capisco niente del posto dove crescono queste ciliegie nere.